Commento ad una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo in merito all’autonomia del giudizio tributario
Con la recente sentenza n. 125/6, in data 01.03.2022, la Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo ha confermato, in tema di autonomia del giudizio tributario, il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui «il mero richiamo alle conclusioni cui è pervenuto il Giudice penale non può costituire “ex se” valido e sufficiente supporto alla decisione adottata dal Giudice tributario».
La vicenda sottoposta al vaglio della Commissione Tributaria Regionale trae origine dall’impugnazione, da parte di un contribuente, dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate territorialmente competente, all’esito della verifica effettuata dalla Guardia di Finanza.
Più precisamente, tale controllo era stato eseguito a seguito della denuncia sporta nei confronti del contribuente, da parte dei suoi fratelli, in relazione alla presunta violazione dell’art. 646 c.p. (Appropriazione indebita).
Ciò in quanto, stando alla denuncia, il contribuente avrebbe indebitamente detenuto il patrimonio mobiliare del padre, in forza di un negozio fiduciario (ovvero, di un contratto con cui il padre aveva trasferito al figlio la proprietà del patrimonio, con l’obbligo per il figlio di ritrasferirlo – al padre o a un terzo – in un momento successivo).
L’Agenzia delle Entrate, quindi, ha ritenuto che tali somme, indebitamente trattenute dal figlio – contribuente, rappresentassero proventi illeciti da sottoporre ad imposizione fiscale.
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Autonomia del giudizio tributario: il primo grado
Il Giudice di primo grado accoglieva il ricorso presentato dal contribuente, in ragione del fatto che:
- da un lato, il Giudice civile aveva condannato il contribuente alla rifusione dei suddetti importi a favore dei fratelli, con contestuale scioglimento della comunione ereditaria apertasi a seguito del decesso del padre e che,
- dall’altro lato, il Giudice per le Indagini Preliminari aveva disposto, in sede penale, l’archiviazione del processo aperto a carico del figlio – contribuente.
La sentenza veniva, quindi, appellata dall’Agenzia delle Entrate.
In particolare, l’Ufficio deduceva, tra le varie, che la fondatezza della pretesa del Fisco era certificata dalle sentenze rese dal Tribunale civile, laddove accertavano l’indebito possesso del denaro da parte del contribuente, a danno dei suoi fratelli.
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La posizione della Commissione tributaria regionale
Sennonché, la Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo ha chiarito che i fatti accertati e le prove assunte in un diverso giudizio (sia esso civile, penale o amministrativo) sono pienamente utilizzabili anche nel giudizio tributario, ma solo alla stregua di semplici indizi.
Ne consegue, quindi, che tali fatti e tali prove devono essere sottoposte alla valutazione critica e discrezionale del Giudice tributario, il quale non è in alcun modo vincolato al giudicato eventualmente formatosi in sede civile, penale o amministrativa.
D’altra parte, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, l’utilizzabilità nel processo tributario di prove atipiche e di prove acquisite in altri giudizi non può estendersi, per esempio, all’intero apparato motivazionale della sentenza resa dal giudice in sede penale.
In altri termini, il mero richiamo alle conclusioni cui è giunto il Giudice penale non può da solo fondare la decisione del Giudice tributario.
Il tutto, tenuto altresì conto dell’autonomia dei due giudizi, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente.
Pertanto, il Giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice dell’Ufficio, dovendone invece verificare la rilevanza nel singolo caso concreto.
Sulla base di tali circostanze, venendo al caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo ha dunque confermato le conclusioni cui era giunto il Giudice di primo grado.
Ciò in quanto la Commissione Tributaria Provinciale ha accertato l’insussistenza di alcuna illegittima detenzione di somme da parte del contribuente, con conseguente esclusione di proventi illeciti da sottoporre ad accertamento fiscale e, dunque, a tassazione.
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