Avvocati, Commercialisti, dipendenti pubblici: caso per caso, tutte le limitazioni (più o meno ampie) allo svolgimento dell’attività agricola.
In ambito lavorativo, il tema delle incompatibilità richiama sempre un particolare interesse. Sono tanti i lavoratori che, presto o tardi, nell’arco della loro vita, si sono trovati di fronte a quesiti relativi a questo aspetto. Uno dei casi più frequenti riguarda l’incompatibilità con l’attività di imprenditore agricolo. Sono infatti molti i casi in cui lo svolgimento dell’attività agricola viene valutata da soggetti che svolgono altre attività. Talvolta la prospettiva di svolgere attività agricola viene valutata come investimento; in altri casi, invece, ci si ritrova proprietari di terreni ereditati da genitori o altri familiari.
Vediamo dunque quali sono i riferimenti (norme, giurisprudenza o pareri) che riguardano l’incompatibilità dell’attività di imprenditore agricolo con le seguenti attività lavorative:
- Commercialista;
- Avvocato;
- dipendente pubblico.
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Incompatibilità Imprenditore Agricolo: il caso dei Commercialisti
Per quanto riguarda i Commercialisti, c’è da dire che il tema delle incompatibilità è davvero molto sentito. Da alcuni ritenuto anacronistico, per altri troppo stringente, è effettivamente un tema che porta con sé limitazioni abbastanza rilevanti e costantemente argomento di discussione.
Proprio con specifico riferimento ai Commercialisti, il tema appare principalmente dibattuto – ma anche disciplinato – sul fronte interno. Sono spesso infatti i “Pronto Ordine”, emanati direttamente dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) a determinare e ritoccare i parametri da considerare per capire se un’attività risulta incompatibile con la Professione oppure no.
Il D.Lgs. 139/2005
Il Decreto Legislativo n. 139 del 28 giugno 2005, all’art. 4 c. 1, individua, fra le incompatibilità previste per gli iscritti all’Albo dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili “l’esercizio, anche non prevalente né abituale […] dell’attività di impresa, in nome proprio o altrui e, per proprio conto, di produzione di beni o servizi”.
L’art. 4 c. 2, poi, stabilisce che “l’incompatibilità è esclusa qualora l’attività, svolta per conto proprio, è diretta alla gestione patrimoniale, ad attività di mero godimento o conservative, nonché in presenza di società di servizi strumentali o ausiliari all’esercizio della professione, ovvero qualora il professionista riveste la carica di amministratore sulla base di uno specifico incarico professionale e per il perseguimento dell’interesse di colui che conferisce l’incarico”.
I Pronto Ordine 31/2019 e 134/2020
Il CNDCEC si è soffermato sul tema della incompatibilità con l’esercizio della Professione di Dottore Commercialista o Esperto Contabile, con pronunce recenti, nel 2019 e nel 2020.
Considerato che la legge individua un’incompatibilità fra la Professione e l’attività di imprenditore agricolo laddove ciò rientri nei limiti del “mero godimento” o della mera conservazione del fondo, e riconoscendo il CNDCEC la difficoltà nel definire oggettivamente, caso per caso, se sussiste un mero godimento/conservazione oppure no, la discriminante oggettiva stabilita dal Consiglio Nazionale è la qualifica – in capo all’iscritto, naturalmente – di IAP (Imprenditore Agricolo Professionale).
Di fatto, dunque, l’incompatibilità per gli iscritti ODCEC è più con la qualifica di IAP che con l’attività di imprenditore agricolo (in senso ampio). Proprio nei Pronto Ordine 31/2019 e 134/2020, ad esempio, si trattano espressamente i casi di iscritti soci di società semplice e socio amministratore (Presidente del CdA, per l’esattezza) di altro tipo di società. In entrambi i casi, è stato definito che lo status di socio di società semplice così come la carica di socio amministratore di società agricola non determinano incompatibilità, a patto che gli iscritti non abbiano personalmente la qualifica di IAP.
A nulla rileva che la qualifica di IAP sia invece assunta da altri soci o dalle società stesse. Se l’iscritto all’Ordine, infatti, non ha la qualifica di IAP, non si determina un caso di incompatibilità.
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Il parere del Consiglio Nazionale Forense sull’incompatibilità degli Avvocati
A differenza di quanto visto per i Dottori Commercialisti e gli Esperti Contabili, a livello normativo (L. 247/2012, c.d. Legge Professionale Forense), per gli Avvocati non è espressamente prevista un’incompatibilità con l’esercizio dell’attività agricola. L’incompatibilità è invece stabilita con “l’attività di impresa commerciale”, e capiremo subito perché questo è un passaggio di primaria importanza.
Il recentissimo parere n. 27 del 12 luglio 2023 del Consiglio Nazionale Forense (CNF). Di fatto, il CNF supera quella distinzione che invece opera la L. 247/2012 nel momento in cui essa non prevede l’incompatibilità con l’esercizio di attività d’impresa in senso lato ma solo con l’attività di impresa commerciale.
Superando anche la dicotomia fra impresa commerciale e impresa agricola operata dal Codice Civile (artt. 2195 e 2135) e relativa giurisprudenza e prassi fiscale, il parere 27/2023 del CNF attua un criterio che potremmo definire dimensionale di carattere generale. Non viene infatti considerata, ad esempio, la prevalenza dell’attività agricola su quella commerciale, bensì la dimensione dell’impresa agricola.
Il richiamo al parere 92/2013
A tal proposito, infatti, il parere 27/2023 cita e conferma i contenuti del parere n. 92/2013 che stabilisce “è evidente che, qualora si tratti di un titolare di una consistente impresa organizzata, o ancora con attività estesa all’industria e al commercio nel settore agroalimentare, questi deve essere considerato un “esercente il commercio” nel senso più pieno di cui all’art.18 della Legge Professionale Forense e l’iscrizione nell’Albo incompatibile con l’attività svolta.”
L’individuazione di questo criterio originale viene poi completata, nella sua presentazione, affermando di conseguenza la compatibilità dell’attività forense con la figura del piccolo imprenditore agricolo: “Di contro, non rientra tra quelle incompatibili la figura del piccolo imprenditore agricolo: tale è per il codice civile (art. 2083) e la giurisprudenza colui che, per mezzo del lavoro proprio o di quello dei propri congiunti, coltiva il fondo di sua proprietà, eventualmente cedendo i frutti a terzi”.
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Attività agricola e pubblico impiego
Come è noto, la Costituzione stabilisce un principio di esclusività (“I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”, art. 98 c.1 Cost.) per quanto concerne le attività lavorative (non) esercitabili dai dipendenti pubblici.
Di fatto, da questo principio cardine è discesa nel tempo copiosa giurisprudenza – non solo di merito, ma anche Cassazione e perfino Corte dei Conti – che ha sostanzialmente negato al dipendente pubblico di essere titolare di Partita IVA, ossia di svolgere qualsiasi attività che richieda di esserne titolare.
Ciò deve certamente mettere in guardia il dipendente pubblico dall’idea di esplorare quello che a tutti gli effetti risulta essere un campo minato. Ciononostante, è d’obbligo segnalare recentissima giurisprudenza (ordinanza 2120/2023 del Consiglio di Stato) che apre una breccia importante, ponendosi su un indirizzo contrario. A tal proposito, infatti, l’ordinanza 2120/2023 non nega l’incompatibilità in quanto tale, tuttavia prevede un’eccezione nei casi in cui l’attività agricola – e relativa inevitabile apertura di Partita IVA – rientri nell’ambito del “corretto adempimento delle facoltà e degli oneri connessi alla proprietà di un fondo rustico, […] purché detto esercizio resti limitato e strettamente correlato, quale sua necessaria e ancillare proiezione, al corrispondente assetto dominicale”.
Si può dunque ritenere che, almeno a parere del Consiglio di Stato (giurisprudenza recentissima ma pur sempre minoritaria), anche nel pubblico impiego sia validamente applicabile quel principio di “mero godimento” e/o “mera conservazione” già visto con riferimento agli iscritti all’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.
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