Ecco una semplice guida sul mutamento delle mansioni del lavoratore. Tutte le indicazioni per non sbagliare, con il richiamo a norme e sentenze.
Quando consultiamo un annuncio di lavoro la prima cosa che facciamo è leggere la descrizione del profilo per cui intendiamo inviare la candidatura. Questa sezione, che contiene numerose e preziose informazioni, ci elenca anche quali saranno i compiti che andremo a svolgere una volta inquadrati. A questo punto può capitare di chiedersi se sia legittimo a seguito dell’assunzione, per il datore di lavoro, procedere al mutamento di mansioni del lavoratore. In questo articolo cercheremo di dare una panoramica completa a tale potere, definito “jus variandi”.
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Cosa sono le mansioni del lavoratore?
Non è possibile trovare all’interno del Codice Civile una definizione di mansioni del lavoratore. In esso, infatti, si fa riferimento soltanto alle cosiddette “categorie legali” (art. 2095 c.c.). Queste suddividono la forza lavoro in:
- Dirigenti;
- Quadri;
- Impiegati;
- Operai.
Tuttavia, tali categorie hanno con il tempo perso di significato e ci dicono ben poco su quelle che saranno le effettive mansioni che andremo a svolgere. Possiamo pensare a loro come ad un contenitore, all’interno del quale ritroviamo anche qualifica e mansione.
La qualifica è l’oggetto generico del contratto di lavoro: indica cosa il lavoratore potrebbe essere in grado di svolgere. Essa è rilevante per l’inquadramento nei livelli del Contratto Collettivo Nazionale e per la determinazione della retribuzione. Tuttavia, a questo stadio non siamo ancora in grado di determinare in concreto quali saranno le mansioni del lavoratore. Facciamo un esempio: all’interno del V Livello del CCNL del Terziario, ritroviamo la figura dell’aiuto-commesso. Vi ritroveremo, però, anche numerose altre figure facenti tutte parte del medesimo livello ma assai diverse fra di loro: addetti al centralino, conducenti di autovetture, addetti al controllo vendite, archivisti etc.
La mansione, quindi, ci dice precisamente quali sono i compiti che il lavoratore sarà tenuto a svolgere utilizzando la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta (art. 2104 c.c.). E’ bene, perciò, essere molto precisi e puntuali quando si individuano le mansioni nella lettera di assunzione, poiché queste rappresentano il cuore della prestazione lavorativa e la loro errata individuazione potrebbe generare un contenzioso.
Può il datore di lavoro procedere al mutamento di mansioni del lavoratore?
Il mutamento di mansioni “orizzontale”
Nell’impianto dell’art. 2103 c.c., così come delineato dall’art. 13 della Legge 300 del 1970, era possibile mutare le mansioni del lavoratore solamente se si preservava la professionalità del lavoratore. Tale impostazione, tuttavia, recava numerosi problemi in quanto non era semplice stabilire esattamente i margini di tale concetto. Spesso, dunque, i mutamenti di mansioni sfociavano in contenziosi con l’azienda e conseguenti richieste di risarcimento del danno.
Con le modifiche apportate nel 2015 dal Jobs Act (art. 3 del D.lgs. 81 del 2015), il mutamento di mansioni è possibile nei seguenti casi:
- inquadramento superiore (jus variandi in melius);
- mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.
Circa il primo punto, la questione è chiara: un lavoratore del V livello del CCNL Terziario potrà essere adibito alle mansioni di un livello superiore ed eventualmente acquisire in via definitiva tale inquadramento. In questo caso, tuttavia, è bene precisare che è fatta salva la volontà del lavoratore.
Per quanto riguarda il secondo punto, possiamo affermare che rientra nel potere direttivo-organizzativo del datore di lavoro qualsiasi spostamento orizzontale del lavoratore purché sia mantenuto lo stesso livello e categoria legale. Facciamo quindi un esempio: un operaio appartenente al V Livello del CCNL Terziario addetto alla conduzione di autovetture può, legittimamente, essere adibito dal datore di lavoro al controllo ed alla verifica delle merci oppure alle mansioni di magazziniere. Non può invece essere mutata la categoria: da operaio ad impiegato o viceversa.
L’unico requisito che il datore di lavoro dovrà rispettare è quello di assolvimento dell’obbligo formativo. Il lavoratore che venga adibito a nuove e differenti mansioni deve essere formato su queste. Tuttavia, tale condizione non è richiesta a pena di nullità.
Il mutamento di mansioni “verticale”
Come abbiamo visto, è possibile per il datore di lavoro adibire il lavoratore allo svolgimento di mansioni superiori. Tuttavia, può anche accadere il contrario: il lavoratore potrebbe essere assegnato a mansioni inferiori. Vediamo in quali casi:
- modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore;
- ipotesi previste dalla contrattazione collettiva;
- stipula di un patto di demansionamento.
Per i primi due casi, è necessario il rispetto di alcuni requisiti:
- le mansioni devono rientrare nella medesima categoria legale (non è possibile, ad esempio, adibire un dirigente a mansioni di impiegato);
- è possibile lo spostamento unicamente al livello inferiore;
- il mutamento deve essere accompagnato dall’assolvimento dell’obbligo formativo;
- il mutamento deve essere comunicato al lavoratore, a pena di nullità, per iscritto;
- il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo corrispondente (fatta eccezione per determinati elementi della retribuzione specificamente collegati al tipo di mansione svolta).
Il patto di demansionamento
E’ possibile, per il lavoratore, essere adibito a mansioni inferiori con mutamento della categoria legale, di più livelli di inquadramento e finanche della retribuzione. Questa possibilità è riconosciuta però solamente a fronte della stipula di un cosiddetto “patto di demansionamento”. L’utilizzo di questo strumento è soggetto a limitazioni stringenti.
Innanzitutto, la stipula del patto di demansionamento deve avvenire nelle sedi protette di cui all’art. 2113 c.c. , ovvero:
- conciliazione in sede giudiziale;
- conciliazione in sede sindacale;
- collegio di conciliazione ed arbitrato irrituale;
- ispettorato del lavoro;
- commissioni di certificazione.
La stipula del patto non è altresì libera, ma subordinata ad un interesse del lavoratore, il quale può prendere una delle seguenti forme, tassativamente previste dall’art. 2103:
- conservazione dell’occupazione;
- acquisizione di diversa professionalità;
- miglioramento delle condizioni di vita.
La tutela risarcitoria in caso di mutamento illegittimo
Fuori dalle ipotesi che abbiamo vagliato, il mutamento di mansioni da parte del datore di lavoro si configura come illegittimo e può dare luogo ad una richiesta risarcitoria per violazione degli obblighi contrattuali in capo alla parte datoriale.
La Corte Costituzionale ha chiaramente affermato che, dal mutamento illegittimo di mansioni, possono derivare al lavoratore danni di vario genere: alla professionalità, alla persona, alla salute fisica e psichica.
La Cassazione ha successivamente ricondotto i suddetti tipi di danno nell’alveo del danno cd. “non patrimoniale”, ovvero determinato dalla lesione di interessi non attinenti alla sfera patrimoniale. Il datore di lavoro potrebbe dunque essere chiamato a rispondere del danno patrimoniale (in ragione della violazione degli obblighi contrattuali) e non patrimoniale.
Rilevanti sono anche le conseguenze qualora il lavoratore dovesse far valere un danno da “perdita di chance”, ovvero il mancato guadagno che lo stesso avrebbe potuto conseguire laddove avesse conservato le mansioni originarie, o la perdita di ulteriori possibilità occupazionali.
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