Blocco dei licenziamenti: le novità del Decreto Sostegni

di Oreste Vacca
blocco dei licenziamenti

Le politiche sui licenziamenti hanno giocato un ruolo centrale nel corso della pandemia. Ecco una panoramica fra regole attuali e scenari futuri: focus sull’accordo aziendale di incentivo all’esodo.

Il blocco dei licenziamenti ha rappresentato una costante in questo periodo emergenziale, caratterizzato da un forte stallo economico in molti settori e dalla paura di un drastico aumento della disoccupazione in altri. Il suo scopo, dunque, è quello di congelare la facoltà per i datori di lavoro di recedere dal contratto e di spostare più in avanti l’inevitabile ricaduta economica di una emorragia di posti di lavoro.

Introdotto in prima battuta dall’articolo 41 del D.L. 18 del 2020 (cd. “Cura Italia”), il blocco dei licenziamenti è stato poi prorogato di volta in volta dai vari decreti succedutisi nella fase emergenziale. Attualmente la materia è regolata dall’articolo 8, commi 9 a 11, del D.L. 41 del 2021 (cd. “Decreto Sostegni”) emanato dal Governo Draghi.

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Blocco dei licenziamenti: fino a quando?

Innanzitutto, due sono le fattispecie di recesso precluse ai datori di lavoro e cioè:

  • le procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della L. 23 Luglio 1991, n. 223, ovvero i licenziamenti collettivi;
  • le procedure di cui agli articoli 3 e 7 della L. 15 Luglio 1966, n. 604, ovvero i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.

Si tratta, a ben vedere, di una mera sospensione o per così dire preclusione della facoltà di licenziare e non di un vero e proprio divieto. Le conseguenze dell’adozione di un provvedimento di licenziamento adottato in questa fase non sono tuttavia ben chiare e poche sono le sentenze della giurisprudenza in merito (sul punto si segnala però l’interessante pronuncia del Tribunale di Roma adottata il 26 febbraio 2021 in tema di licenziamento dei dirigenti).

Rispetto a precedenti normative, il blocco dei licenziamenti introdotto dal D.L. Sostegni viene modulato differentemente a seconda della tipologia di datori di lavoro e si differenziano inoltre i limiti temporali. Nella fattispecie:

  • blocco dei licenziamenti valido fino al 30 Giugno 2021 per la generalità dei datori di lavoro;
  • blocco dei licenziamenti esteso fino al 31 Ottobre 2021 solamente per quei datori di lavoro di cui all’articolo 8 del D.L. 41/2020, commi 2 e 8 (ovvero coloro che possono fruire dell’assegno ordinario o della cassa integrazione in deroga e i datori di lavoro che accedono alla cassa integrazione salariale per gli operai agricoli).

I dubbi chiariti con il Decreto Sostegni

A ben vedere, la formulazione dell’articolo 8 del D.L. 41 del 2021 ha fatto sorgere il dubbio se il divieto di licenziamento si applichi solo a quei datori di lavoro che in astratto possono accedere ai trattamenti di integrazione salariale o quelli che effettivamente ne fruiscono. A risolvere tali dubbi è intervenuta la Relazione Illustrativa allegata al Decreto Sostegni, che espressamente ricollega la sospensione della facoltà di procedere al licenziamento solamente per quei datori che effettivamente fruiscono del trattamento di cassa integrazione o assegno ordinario e per l’intera durata dello stesso.

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Blocco dei licenziamenti: le eccezioni

Il comma 11 dell’articolo 8 del D.L. Sostegni si occupa invece delle eccezioni al divieto di licenziamento. Esse sono quelle conseguenti a:

  • definitiva cessazione dell’attività di impresa (attenzione: la cessazione deve essere totale e non parziale, come ad esempio può esserlo la chiusura di una singola unità produttiva);
  • procedura fallimentare o liquidazione giudiziale (che però non prevedano un esercizio provvisorio dell’azienda);
  • adesione del lavoratore all’accordo collettivo aziendale stipulato con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale di incentivo all’esodo.

In relazione alla prima ipotesi, è da sottolineare che il licenziamento è comunque precluso se viene ceduto un bene o un complesso di beni organizzati configurabile come cessione di azienda o ramo di azienda ai sensi dell’articolo 2112 c.c. (consulta in proposito anche il Messaggio INPS 689 del 17/02/2021).

Sembrerebbero inoltre inattuabili i licenziamenti per fine della fase lavorativa ed inidoneità del lavoratore alla mansione (in quanto comporterebbero, similmente al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, un ricorso alla procedura di repêchage).

Vi sono infine altre tipologie di licenziamento che non sono state toccate dalla normativa emergenziale e che possono quindi essere adottate dal datore di lavoro. Si tratta dei licenziamenti per:

  • cambio di appalto;
  • motivi disciplinari (giusta causa e giustificato motivo soggettivo);
  • superamento del periodo di comporto;
  • mancato superamento del periodo di prova;
  • pensionamento del lavoratore.

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L’accordo aziendale di incentivo all’esodo

Vale la pena spendere qualche parola in più sull’accordo collettivo aziendale che regola la facoltà di recesso dal contratto individuale, poiché questo offre innegabili vantaggi sia al lavoratore che al datore di lavoro:

  • ha tempi di redazione e sottoscrizione in genere molto brevi;
  • il datore di lavoro non è tenuto a pagare l’indennità sostitutiva di preavviso;
  • al lavoratore che recede in attuazione dell’accordo spetta la NAspi.

Vediamo dunque quale sono i requisiti di tale possibilità:

  • è necessario un accordo aziendale. Come abbiamo visto, questo deve essere stipulato tra il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali. Sono espressamente escluse le RSA e le RSU eventualmente costituite in azienda: è necessario rivolgersi alle segreterie nazionali o territoriali delle organizzazioni sindacali;
  • l’accordo deve prevedere una somma a titolo di incentivo all’esodo;
  • l’accordo deve essere realizzato dopo il 22 Marzo del 2021.

La procedura prevista, dunque, si risolve in un accordo tra il lavoratore ed il datore di lavoro che ne incentiva l’esodo. E’ opportuno sottolineare che non si tratta di una procedura di esubero di personale ma di una vera e propria manifestazione di volontà delle parti di recedere dal contratto e quindi l’adesione del lavoratore all’accordo si deve ritenere libera e non coartata.

Il datore di lavoro, tuttavia, sarà onerato del pagamento del cd. Ticket Naspi, ovvero il contributo da pagare in tutti i casi di risoluzione involontaria del rapporto di lavoro e che ammonta al 41% del massimale mensile Naspi per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.

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