Analizziamo alcuni aspetti fiscali sottovalutati connessi al mondo del collezionismo. Quali sono i confini tra passione e attività di impresa? Cosa fare per evitare contestazioni? Ecco una guida su come gestire al meglio scambi e transazioni
Quello del collezionismo è un fenomeno più diffuso di quanto si pensi. Anche un cliente storico, di cui il consulente è convinto di conoscere tutto, a volte può avere degli interessi personali che emergono solo se si presenta qualche problema. Il collezionismo è uno di questi. Ovviamente stiamo parlando di collezioni di beni che abbiano un valore intrinseco significativo, sia che siano considerati singolarmente che nel loro complesso.
Il collezionista d’arte, di auto o moto d’epoca, di orologi o di francobolli (o altro) ha, in generale, le stesse caratteristiche. Il collezionista ha una passione smisurata per l’oggetto che colleziona, se ne interessa da tempo e ci investe tempo e denaro. Segue gli eventi del settore, partecipa alle fiere e frequenta altre persone con i medesimi interessi e con le quali scambia idee, pareri ed oggetti. Lo spirito, con le dovute differenze, è quello che nell’infanzia sovraintendeva allo scambio di figurine: io ti do due “pezzi” che valgono come il tuo, che mi dai in cambio. Oppure io ti do il mio pezzo e una somma in denaro e tu mi dai quello che mi interessa.
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Il confine tra passione e attività d’impresa: attenzione alle transazioni
Tutto questo, fino a che punto è una passione e quando diventa attività di impresa? Quante e quali di queste operazioni possono essere lette, da un eventuale verificatore, in modo difforme, proprio perché prive di qualsiasi supporto documentale? E qui iniziano i problemi per i quali può essere chiamato in causa un professionista che si occupa di contenzioso tributario.
Sono tutti scambi che vengono fatti per un interesse specifico, artistico, culturale o di altro genere, ma sottendono a scambi ed incrementi monetari e patrimoniali che risultano secondari rispetto all’interesse del collezionista. Tralasciamo in questa sede gli acquisti e vendite avvengono anche tramite gallerie d’arte, case d’asta o imprese specializzate, nei confronti delle quali però i collezionisti figurano come semplici clienti o come cedenti di beni posseduti a titolo privato.
Fino al momento in cui questi soggetti si limitano al baratto, nessun elemento di rilievo attira l’attenzione dell’Amministrazione finanziaria. Ma spesso questi scambi avvengono con passaggi di denaro frequenti e/o consistenti. Sono somme che transitano dai conti correnti personali, accreditate con tranquillità dai titolari che spesso non pensano che qualcuno verrà mai a chiedere loro conto di questa loro attività personale.
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Collezionismo: un caso pratico con un problema inaspettato
La realtà dei fatti è diversa. A testimoniarlo l’esperienza di un collezionista che non immaginava le possibili conseguenze di una transazione effettuata. Ecco dunque un fatto realmente accaduto tramite le parole del diretto interessato: “Ho ricevuto un bonifico di 50.000 Euro da Zurigo e la mia banca mi ha avvisato che faranno la segnalazione antiriciclaggio. Ma perché? Ho venduto una delle mie auto d’epoca al mio amico che abita in Svizzera. È mia. Cosa devono segnalare?”
Il bonifico in questione ha come causale “accredito” ed i due avevano concordato, personalmente ed a voce, la vendita durante una fiera di settore. A fronte di una eventuale contestazione di rimpatrio di somme all’estero, in che modo sarebbe stato possibile difendersi? Anche in questo caso è meglio prevenire, che curare: sarebbe il caso che, anche nel mondo del collezionismo, si cominciasse a fare più attenzione alla documentazione dei movimenti di beni e di denaro.
In altri termini, occorre che anche per questi scambi vengano tracciati gli accordi intercorsi tra le parti, magari tramite mail (o ancora meglio pec), evidenziando come si tratti di beni personali. Quindi siamo di nuovo nel tema della documentazione e della prova di quanto avvenuto, anche per quanto riguarda i corrispettivi in denaro, che dovrebbero sempre essere corrisposti con strumenti tracciabili e con causali specifiche indicanti le controparti ed il bene oggetto dello scambio.
Esiste un limite oltre il quale il collezionismo è considerato attività d’impresa?
E poi sorge il secondo ed insormontabile problema: quando il numero, la frequenza o l’entità di questa passione può essere qualificata come attività di impresa? C’è bisogno della tracciabilità e della documentazione degli scambi per attestare la correttezza dell’operato del collezionista, che svolge un’attività personale, in cui il lucro non è che un aspetto secondario. Ma come evitare che sia un’arma a doppio taglio, potendo far emergere altri e più gravi dubbi ad un eventuale verificatore? Mutatis mutandis è l’annosa questione dell’attività immobiliare svolta da un privato: in quale momento l’intensità della passione personale del mio cliente, lo configura come “… chi esercita professionalmente una attivita’ economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”?
Mentre non ci sono dubbi nel ritenere necessaria la documentazione e la tracciatura delle operazioni di scambio, per la possibile qualifica di questa attività come impresa è necessario valutare i singoli casi di ogni cliente. Il volume delle transazioni, degli importi trattati ed il valore della collezione saranno gli elementi utili per avvisarli delle possibili conseguenze fiscali.
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