Cos’è il MES: la differenza con gli Eurobond

di Michele Aquilino
cos'è il mes

Nei giorni dell’emergenza sanitaria, un argomento infiamma il dibattito degli italiani quasi più del Coronavirus: il MES. In molti infatti si dicono fortemente contrari a questo… acronimo. Ma sappiamo bene di cosa si tratta? Cerchiamo insieme di capire cos’è il MES con parole semplici

Ormai in Italia non si parla d’altro. Perfino il Coronavirus, gli ospedali al collasso e i tanti morti sembrano essere passati in secondo piano. Stiamo parlando del MES, oggetto del contendere nell’acceso dibattito politico di questi giorni. Ma anche nelle chiacchiere da… WhatsApp (d’altra parte i bar sono chiusi). Fra annunci e smentite, fake news, schermaglie social e televisive cerchiamo di usare parole semplici per soddisfare una domanda che sotto sotto ci stiamo facendo tutti: ma cos’è il MES? E che differenza c’è con gli Eurobond?

Origine del MES (2011-2012)

Per capire cos’è il MES, e risalire alle sue origini, dobbiamo andare indietro a circa 10 anni fa. Il contesto finanziario era quello drammatico scatenato dalla crisi americana dei mutui subprime. A complicare il tutto, gli stretti legami internazionali fra le banche, che contribuirono a diffondere rapidamente la crisi in tutti i Paesi, specialmente quelli più avanzati. Gli effetti devastanti di quella crisi si manifestarono su vari Stati membri dell’Unione Europea. Su tutti ricordiamo benissimo le enormi difficoltà della Grecia.

In questo scenario, nacque la necessità di difendere la tenuta dell’UE di fronte alla minaccia del collasso finanziario. Istituito nel 2011 ed attivo dal 2012, il MES, che in italiano sta per Meccanismo Europeo di Stabilità, sostituì i precedenti FESF e MESF, nascendo originariamente come un fondo per emettere prestiti. Spesso ne abbiamo sentito parlare anche con il nome di Fondo salva-Stati. Gli Stati membri UE, infatti, in caso di scarsa liquidità, avrebbero potuto ricorrere al fondo per ottenere denaro fresco. E fin qui, niente di complicato.

Secondo molti, poi, il MES ha smesso di essere un semplice fondo, come doveva essere negli intenti iniziali. Si sarebbe tramutato piuttosto in un’organizzazione intergovernativa (un po’ come il Fondo Monetario Internazionale, per intederci). Ai “posti di comando” del MES, infatti, siedono rappresentanti degli Stati UE, i quali ne regolano il corretto funzionamento.

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Cos’è il MES e come funziona

Il MES ha un potenziale di 700 miliardi di euro per finanziare gli Stati che ne fanno richiesta, così suddiviso:

  • 80 miliardi versati dagli Stati membri;
  • 620 miliardi da raccogliere, all’occorrenza, emettendo obbligazioni (quindi raccolti sul mercato dagli investitori).

In che modo gli Stati membri stabiliscono il proprio contributo al MES? Ogni Stato partecipa al fondo in base al PIL del 2010, il più recente noto al momento in cui è stato istituito il MES (marzo 2011). Di conseguenza gli Stati più forti detengono una maggior quota del fondo, ma al tempo stesso danno anche i contributi maggiori. Ecco perché, banalizzando molto il concetto, in tanti all’epoca parlavano di una Germania che “comprava” la Grecia. Le quote di partecipazione al fondo, infatti, sono le seguenti.

Stato Membro% di contributoCapitale sottoscritto (mld di €)PIL nominale 2010 (mln di $)
Germania 27,1474% 190,0248 3.315.643
Francia 20,3859% 142,7013 2.582.527
Italia 17,9137% 125,3959 2.055.114
Spagna 11,9037% 83,3259 1.409.946
Paesi Bassi 5,717% 40,019 783.293
Belgio 3,4771% 24,3397 465.676
Grecia 2,8167% 19,7169 305.415
Austria 2,7834% 19,4838 376.841
Portogallo 2,5092% 17,5644 229.336
Finlandia 1,7974% 12,5818 239.232
Irlanda 1,5922% 11,1454 204.261
Slovacchia 0,824% 5,768 86.262
Slovenia 0,4276% 2,9932 46.442
Lussemburgo 0,2504% 1,7528 52.433
Cipro 0,1962% 1,3734 22.752
Estonia 0,186% 1,302 19.220
Malta 0,0731% 0.5117 7.801
TOTALE 100.0% 700 12.202.194

La Germania, di fatto, da sola rappresenta 1/4 del MES. Germania, Francia e Italia insieme ne detengono circa 2/3.

La condizionalità e la Troika

L’altro elemento da considerare in merito al ricorso al MES è la cosiddetta condizionalità. Essa consiste nell’insieme di condizioni, appunto, che lo Stato debitore accetta godendo del prestito. Al fine di evitare che il MES venisse visto come un salvadanaio da cui attingere in maniera troppo comoda e leggera, così da “responsabilizzare” dunque tutti gli Stati membri, queste condizioni sono sempre risultate particolarmente stringenti. Privatizzazioni (dunque costi dei servizi maggiorati), tagli alla spesa pubblica, maggiore pressione fiscale sono fra le misure tipiche imposte a chi ricorre al MES.

A vigilare sul rispetto delle condizioni, per valutare eventuali sanzioni (anche molto pesanti), la ormai celebre Troika, composta da:

  • Commissione Europea
  • Banca Centrale Europea
  • Fondo Monetario Internazionale

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E invece cosa sono gli Eurobond?

Abbiamo dunque capito cos’è il MES. L’altro strumento largamente chiacchierato in questi giorni è rappresentato dai cosiddetti Eurobond. Essi vengono accolti con maggior favore da tutte le forze politiche. Evidentemente tale consenso va ricercato nell’assenza di una condizionalità tanto stringente, come quella che è propria del MES.

Gli Eurobond, infatti, non hanno nulla a che fare con un fondo comune partecipato dagli Stati membri. Anch’essi sono entrati nel dibattito europeo a partire dal 2010, per le stesse ragioni che hanno portato alla nascita del MES. Degli Eurobond, però, fino ad oggi non si è vista neppure l’ombra. Solo chiacchiere, idee, proposte, ma nessuna azione concreta.

Gli Eurobond, come spiega la terminologia giornalistica con cui sono diventati noti, altro non sono che Bond Europei. In altre parole si tratterebbe, qualora venissero mai realizzati, di titoli di debito (paragonabili, per intenderci, ai Btp italiani o ai Bund tedeschi) emessi non da un singolo Stato ma da un’Agenzia sovranazionale che faccia capo all’Unione Europea nel suo complesso.

Eurobond sì o Eurobond no?

Qual è il vantaggio di avere titoli di debito comuni? Evidentemente a trarne beneficio è la solvibilità dei titoli, in altre parole va a ridursi il rischio che i titoli non vengano ripagati ai creditori. Di conseguenza, il tasso di interesse con cui questi titoli si collocano sul mercato risulterebbe più basso, determinando costi più contenuti per gli Stati che partecipano all’operazione.

E allora se c’è questo beneficio, perché ad oggi gli Eurobond non hanno mai visto la luce? Ad opporsi sono evidentemente le economie più grandi e più solide, per ragioni che appaiono abbastanza ovvie, in un’ottica personalistica. Mettiamoci, per semplificare l’esempio, nei panni della Germania. Essa rappresenta l’economia più grande, e lo abbiamo visto con le quote di partecipazione al MES: ciò comporta che la Germania dovrebbe andare a ripagare una quota molto rilevante dei debiti comuni. Ma la Germania ha anche un’economia solida, ragion per cui paga tassi di interesse estremamente bassi sui propri Bund, che non a caso sono presi come base di calcolo per l’ormai celebre spread. Naturalmente il tasso di interesse degli Eurobond – su cui tuttavia non abbiamo valori concreti di riferimento poiché non hanno mai visto la luce – risentirebbe delle condizioni economiche interne di Stati che presentano situazioni di maggiore difficoltà.

Quale sarà il finale della storia?

Detto dunque di vantaggi e svantaggi, nonché del punto di vista dei più scettici, ad oggi non sappiamo se ci troviamo davvero a pochi giorni dal varo ufficiale dei tanto attesi Eurobond, o se in alternativa il tutto si risolverà per l’ennesima volta in una manciata di riunioni conclusasi con un nulla di fatto.

Vi lasciamo però con il punto di vista dei favorevoli, che fondamentalmente si riassume in due interrogativi.

Se non abbiamo davvero voglia di appianare le disparità e di condividere i rischi, che ne è della solidarietà europea?

E soprattutto, data la contingente emergenza, senza precedenti nella storia dell’Unione: se non ora, quando?

Ai posteri l’ardua sentenza.

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