La Cassazione si pronuncia in tema di esenzione Imu per coniugi residenti in comuni diversi. Dall’ordinanza n. 28534 del 15.12.2020 arriva un’interpretazione restrittiva.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 28534 del 15.12.2020 ribadisce l’interpretazione restrittiva in tema di esenzione Imu già espressa con la precedente decisione della stessa Corte n. 20130/2020.
Esenzione Imu nel caso di coniugi residenti in comuni diversi
La pretesa tributaria si fonda sul fatto che, nel periodo d’imposta, la contribuente e il di lei coniuge risiedevano in comuni diversi. Pertanto il nucleo familiare non dimorava nell’abitazione per la quale era richiesta l’esenzione.
La CTR ha ritenuto che, in base agli artt. 143 e 144 cod. civ., per il principio di parità tra i coniugi, non poteva considerarsi quale dimora abituale della famiglia quella ricollegabile alle risultanze anagrafiche del marito ovvero quella ricollegabile alle risultanze anagrafiche della moglie. Secondo la CTR, quindi, incombeva all’Amministrazione finanziaria dimostrare che la contribuente avesse già beneficiato dell’agevolazione prevista per la prima casa con riguardo all’abitazione di residenza del coniuge.
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La Cassazione: esenzione Imu solo dove vi è la residenza della famiglia
Ritendo illegittimo il diritto della contribuente all’esenzione ICI, la società di riscossione ha presentato ricorso in Cassazione denunciando, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 8 d.lgs. n. 504/1992 e dell’art. 2697 cod. civ. La Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento ha ritenuto fondato tale motivo.
Secondo l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, nel caso in cui il soggetto passivo dell’ICI sia coniugato, ai fini della spettanza delle detrazioni e riduzioni dell’imposta previste per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo dall’art. 8 d.lgs. n. 504/1992, non basta che il coniuge abbia trasferito la propria residenza nel comune in cui l’immobile è situato ma occorre che in tale immobile si realizzi la coabitazione dei coniugi. Considerato che l’art. 144 cod. civ. prevede che i coniugi possano avere esigenze diverse ai fini della residenza individuale e fissare altrove quella della famiglia, ciò che assume rilevanza, per beneficiare di dette agevolazioni, non è la residenza dei singoli coniugi bensì quella della famiglia (Cass. n. 18096 del 2019).
In tema di ICI, inoltre, la Cassazione ha precisato che per godere della detrazione prevista per le abitazioni principali (si intende per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica) dall’art. 8 d.lgs. n. 504/1992, occorre che il contribuente provi che l’abitazione costituisce dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari. In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la detrazione sulla base dell’accertamento che l’immobile de quo costituisse dimora abituale del solo ricorrente e non della di lui moglie (Cass. n. 15444 del 2017).
La rilevanza della residenza anagrafica ai fini dell’esenzione
Da ultimo, Cass. n. 4166 del 2020 ha affermato che, in tema di IMU, l’esenzione prevista per la casa principale dall’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, conv. dalla I. n. 214/2011, richiede non soltanto che il possessore e il suo nucleo familiare dimorino stabilmente in tale immobile, ma altresì che vi risiedano anagraficamente. Nel caso di specie è stata confermata la sentenza impugnata, in cui era escluso che l’immobile della ricorrente potesse ritenersi abitazione principale dal momento che il marito, non legalmente separato, aveva la residenza e la dimora abituale in un altro comune.
Secondo la Cassazione, quindi, la CTR dell’Abruzzo, affermando che la contribuente potesse fruire dell’agevolazione fiscale pur essendo residente in un comune diverso da quello in cui risiedeva il marito, senza espletare alcun accertamento riguardo alla dimora abituale del nucleo familiare, non si è uniformata ai principi di diritto sopra enunciati.
È quindi fondato il timore che sulla base dei predetti provvedimenti i Comuni inizino operazioni di verifica che possono retroagire per gli anni in relazione ai quali non si è verificata decadenza, ovvero entro il 31 dicembre del quinto anno successivo alla violazione.
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