Liberi professionisti con co.co.co.: il corretto trattamento fiscale

di Francesco Aquilino
Liberi professionisti con co.co.co.

Il co.co.co. è da molti assimilato di default al lavoro subordinato. In realtà vi sono numerose eccezioni, tra cui quella relativa ai co.co.co. stipulati da liberi professionisti iscritti ad un Albo. Ecco come trattare correttamente questa casistica.

Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) è ad oggi una fattispecie non molto diffusa, ma nella quale capita di imbattersi in relazione a determinati incarichi. Si pensi ai contratti di collaborazione stipulati dai medici corsisti MMG. Per quanto la legge preveda in via generale l’assimilazione dei co.co.co. al lavoro subordinato, vi sono diverse eccezioni. Tra queste, anche quella relativa ai co.co.co. stipulati dai liberi professionisti iscritti negli appositi Albi professionali.

Purtroppo, l’esperienza pratica mostra che in molti casi i c.d. “professionisti ordinistici” vengono erroneamente assimilati fiscalmente ai lavoratori dipendenti. Proviamo dunque a fare chiarezza sul corretto trattamento fiscale di questa fattispecie, richiamando nel dettaglio le diverse norme che disciplinano i contratti di collaborazione tanto dal punto di vista giuslavoristico, quanto dal punto di vista fiscale.

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La disciplina dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa

Attualmente i co.co.co. sono disciplinati dal Decreto Legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, noto anche come “Jobs Act“. Nello specifico, è l’articolo 2 del richiamato decreto a disciplinare le collaborazioni organizzate dal committente. La norma prevede al comma 1 un criterio di carattere generale per cui, a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro:

  • prevalentemente personali;
  • continuative;
  • le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente.

Tuttavia, il seguente comma 2 prevede, in deroga al criterio generale, che la disciplina del rapporto di lavoro subordinato non si applichi con riferimento a determinate tipologie di collaborazione. Tra queste sono indicate anche le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi Albi professionali. Da qui discende la non applicazione della disciplina del lavoro subordinato ai co.co.co. stipulati da professionisti come i Medici, i Dottori Commercialisti, gli Avvocati, gli Ingegneri o gli Architetti nell’esercizio della loro professione.

Liberi professionisti con co.co.co.: il corretto trattamento fiscale

Pienamente coerente con quanto sopra esposto è anche la disciplina fiscale. Indicazioni sul corretto trattamento fiscale dei co.co.co. stipulati dai liberi professionisti sono contenute nell’articolo 50 del TUIR (D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986).

Anche in questo caso la norma prevede un criterio di carattere generale, in base al quale i redditi generati dai rapporti di collaborazione senza vincolo di subordinazione sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente. D’altro canto, però, la norma prevede una esplicita eccezione per le collaborazioni rientranti nell’esercizio dell’attività professionale. Riportiamo in tal senso i passaggi salienti dell’articolo 50 del TUIR:

Sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente: […] le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti […] in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica, alla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, alla partecipazione a collegi e commissioni, nonché quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreché gli uffici o le collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente di cui all’articolo 49, comma 1, concernente redditi di lavoro dipendente, o nell’oggetto dell’arte o professione di cui all’articolo 53, comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente“.

I redditi prodotti dai liberi professionisti titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa, rientranti nell’esercizio della propria attività professionale, sono quindi redditi di lavoro autonomo.

Liberi professionisti con co.co.co.

Alcune considerazioni di carattere pratico

Il fatto che i co.co.co. stipulati in capo a liberi professionisti iscritti ad un Albo generino dei redditi di lavoro autonomo induce a due considerazioni di carattere pratico. La prima riguarda la corretta impostazione dei rapporti di lavoro dal punto di vista formale, mentre la seconda riguarda la conseguente convenienza dal punto fiscale del corretto inquadramento dei rapporti di lavoro.

Il corretto inquadramento di un rapporto di lavoro che comporta la produzione di redditi di lavoro autonomo ha una logica implicazione. Infatti, il professionista che svolge la prestazione lavorativa deve essere in possesso di partita Iva. Solo chi ha un numero di partita Iva può compilare gli opportuni quadri della dichiarazione dei redditi: il quadro RE per i professionisti in regime Iva ordinario o il quadro LM per i professionisti in regime forfettario. Da escludere poi il ricorso alla prestazione occasionale, che genera redditi diversi e che è stata in più occasioni dichiarata inammissibile dall’Agenzia delle Entrate in relazione all’attività dei professionisti iscritti ad un Albo.

Inoltre, bisogna considerare che i redditi di lavoro autonomo sono assoggettati al regime fiscale di appartenenza del professionista. Nel caso in cui questi aderisca al regime forfettario è possibile avere un importante risparmio in termini di imposte sui redditi. Infatti, i redditi generati dal co.co.co. sarebbero assoggettati alle aliquote agevolate del 15% o, addirittura, del 5% per le nuove attività. L’errata assimilazione ai redditi di lavoro dipendente comporterebbe invece l’applicazione delle aliquote ordinarie Irpef, dal 23% al 43%. Per di più, il regime forfettario prevede il non assoggettamento dei compensi a ritenuta d’acconto. Sarebbe quindi in questo caso errata (oltre che penalizzante dal punto di vista finanziario) l’applicazione di ritenute Irpef da parte del committente.

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