Un’interessante forma di tutela dei lavoratori è rappresentata dalla responsabilità solidale del committente nei contratti di appalto. Ecco come si è evoluta la disciplina negli ultimi anni e qual è ad oggi il punto della situazione.
Il concetto di responsabilità solidale del committente, in materia di appalto di opere e servizi, è previsto dal comma 2 dell’art. 29 D.Lgs. 276/2003. In esso infatti si prevede che “…in caso di appalto di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, entro il limite di un anno dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti…”.
La ratio della norma è quella di garantire il pagamento del corrispettivo e degli oneri previdenziali dovuti, consentendo al lavoratore e agli Istituti previdenziali di esperire azione diretta nei confronti del committente. Non bisogna dimenticare, infatti, che quest’ultimo di fatto ha beneficiato della prestazione lavorativa nell’ambito della quale tali crediti sono maturati.
La norma tuttavia, pur scendendo nel dettaglio rispetto all’ancor più generica previsione civilistica, fa riferimento solo alla fattispecie dell’appalto di servizi. Essa, inoltre, risulta di per sé priva dell’articolazione necessaria a regolamentare una realtà caratterizzata da una crescente complessità strutturale.
Ne deriva una serie quasi ventennale di interventi legislativi successivi, finalizzati a colmare l’evidente divario, soprattutto in considerazione delle ripetute pronunce giurisprudenziali in materia a conferma dello stesso, nonché dell’alternarsi di diversi orientamenti politici a livello governativo.
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Responsabilità solidale del committente: dalla Legge Fornero ad oggi
Le principali modifiche avvengono ad opera della L. 92/2012 (Legge Fornero): la novella estende il riferimento all’appalto sia di opere che di servizi, e porta il limite dell’obbligazione in solido da 1 a 2 anni dalla cessazione dell’appalto. La norma introduce inoltre l’ipotesi di derogabilità della responsabilità solidale stessa ad opera dei contratti collettivi nazionali, per quanto possibile, come chiarito successivamente ad opera del DL 76/2013, limitatamente agli aspetti retributivi ma non contributivi/assicurativi.
Il Ministero del Lavoro, con Interpello 9/2015, preciserà ulteriormente che la regolamentazione della suddetta derogabilità è prerogativa dei soli contratti collettivi applicati dall’appaltatore, attraverso l’individuazione di metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti.
Il tempo di parlarne e la norma è nuovamente oggetto di modifica ad opera del D.L. 25/2017. In questa occasione infatti viene abrogata la suddetta derogabilità. Viene inoltre superata la disciplina processuale della solidarietà di committente e appaltatore, per le obbligazioni anzidette (prima era previsto che dovessero essere convenuti unitamente in giudizio.) La novella recepisce le indicazioni contenute nell’ordinanza della Corte Costituzionale n. 27/2017 con la quale è stato ammesso il referendum abrogativo e ne ha anticipato gli effetti. Ad ogni modo il decreto ha lasciato integra la disciplina sostanziale della responsabilità solidale negli appalti, obblighi tributari e azione di regresso del committente compresi.
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La situazione odierna fra norme e giurisprudenza
L’attuale formulazione del comma 2 dell’art. 29 D. Lgs. 276/2003 prevede pertanto che “…In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento. Il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d’imposta ai sensi delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali…”.
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Distinzione tra rapporto di lavoro e rapporto previdenziale secondo la Cassazione
Come illustrato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro nella Nota 9943-2019, un tema di assoluta rilevanza, trattato a più riprese in sede giurisprudenziale, concerne la distinzione fra crediti retributivi dei lavoratori e crediti contributivi degli Istituti Previdenziali, al fine di individuare i termini per l’esercizio delle relative azioni. Al riguardo, la Corte di Cassazione ha recentemente affermato che il regime decadenziale di due anni, previsto dal comma 2 dell’art. 29, trova applicazione esclusivamente in riferimento all’azione esperita dal lavoratore. Ciò in quanto in giurisprudenza il rapporto di lavoro e quello previdenziale sono sì connessi ma distinti. Va infatti considerato che l’obbligazione contributiva, a differenza di quella retributiva, deriva dalla legge, ha natura pubblicistica ed è pertanto indisponibile.
Sulla base di quanto sopra e di ulteriori argomentazioni giurisprudenziali, quindi, la Corte ha affermato il principio in virtù del quale il termine decadenziale di due anni previsto dal comma 2 dell’art. 29, riguarda esclusivamente l’esercizio dell’azione nei confronti del responsabile solidale da parte del lavoratore, per il soddisfacimento dei crediti retributivi. L’azione promossa dagli Enti Previdenziali per il soddisfacimento della pretesa contributiva rimane soggetta, dunque, alla sola prescrizione ordinaria prevista dall’art. 3, comma 9, L. n.335/1995.
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