Ancora segnali positivi dalle istituzioni europee. 750 miliardi di aiuti agli Stati membri. Per l’Italia si prospetta un sostegno totale di 173 miliardi. Un vero successo oppure non è tutto oro quel che luccica? Opportunità e insidie del Recovery Fund.
Dopo il sì di Strasburgo, che il 15 maggio aveva ribadito la centralità del Recovery Fund nel piano di aiuti europei, si registra un altro piccolo grande successo. Anche il passaggio, molto atteso, del 27 maggio in Commissione ha dato esito positivo. La strada è ancora molto lunga e si spera di chiudere la partita entro la fine dell’anno. Nel frattempo, però, si registrano vari segnali positivi. Con il Recovery Fund, l’Italia dovrebbe scongiurare i pericoli connessi ad una condizionalità pesante come quella del MES. Ma sarà davvero così? Vediamo quali sono i possibili scenari.
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Sì al Recovery Fund: 173 miliardi all’Italia
La Commissione Europea ha finalmente battuto un colpo. Dopo la posizione chiara assunta dal Parlamento – per la quale il Presidente David Sassoli non aveva nascosto la propria soddisfazione -, che richiedeva un importante peso specifico per il Recovery Fund nel piano di aiuti europei ai Paesi Membri, la Commissione traccia un ulteriore solco. La proposta annunciata da Ursula Von Der Leyen, infatti, ha una ratio inequivocabile: aiutare finanziariamente i Paesi più provati per scongiurare – o almeno provarci – l’aumento dei relativi debiti pubblici.
Nella proposta della Commissione, il Fondo per la ripresa avrà un valore di 750 miliardi (cui si aggiungeranno altri 1.100 miliardi previsti nel progetto di bilancio 2021-2027):
- 500 miliardi a fondo perduto;
- 250 miliardi sotto forma di prestiti.
Ma veniamo all’Italia. Il nostro Paese, che è stato riconosciuto come il più provato dall’emergenza sanitaria ed economica, di fatto godrebbe di quasi 1/4 dell’intera posta in gioco. Aiuti per complessivi 173 miliardi, così ripartiti:
- 82 miliardi a fondo perduto;
- 91 miliardi da restituire a lungo termine.
Ma stiamo parlando di una semplice proposta. I dettagli da definire e i dubbi da sciogliere al tavolo delle trattative saranno non pochi. Uno fra tanti, il tempo di rientro della quota di prestiti. Le obbligazioni che finanzieranno il Fondo avranno maturità diverse, che varieranno in un’orizzonte compreso fra il 2028 e il 2058.
La posizione degli scettici
Se un cauto ottimismo a questo punto risulta legittimo, sarebbe inopportuno lasciarsi andare ad un eccessivo entusiasmo. Sono diversi i punti ancora incerti e che determineranno la bontà complessiva dell’operazione. La chiave sta nei tavoli tecnici fra i 27 Paesi membri che si terranno nei prossimi mesi. Non va dimenticato che i Paesi del Nord, trascinati da un’Olanda sul piede di guerra, non demordono e si confermano contrari alle prospettive che pare si stiano delineando. Quali potrebbero essere quindi le bucce di banana che potrebbero far scivolare l’Italia?
Un primo aspetto da considerare è la condizionalità legata all’operazione, ossia gli obblighi che sorgono in capo ai Paesi beneficiari di questa misura. Da un lato, infatti, pare scongiurata una condizionalità pesante come quella tipica del MES (privatizzazioni, austerity, aumento della pressione fiscale); dall’altro, bisogna capire quale sarà il tasso di interesse effettivo per la restituzione dei fondi. Altro elemento chiave, in questo senso, sarà l’eventuale introduzione di un vincolo (anche solo parziale) di destinazione delle risorse. Si dice che Bruxelles potrebbe incentivare soprattutto gli investimenti nel digitale e per la sostenibilità ambientale.
Un altro elemento a dir poco vitale riguarda i tempi dell’operazione. Sarà importante capire innanzitutto quali saranno le scadenze per la restituzione dei prestiti obbligazionari (ipotesi 2028-2058). Ancor di più ci si chiede: quando arriveranno davvero i fondi? Particolare non di poco conto data la situazione emergenziale in cui versano le economie europee, in primis quella italiana. Tutto dipenderà dall’andamento delle trattative e dall’ostruzionismo dei Paesi contrati al Recovery Fund. A tal proposito, Bruxelles vorrebbe emendare il bilancio 2014-2020 per rendere disponibili i primi 11,5 miliardi già quest’anno.