Stretta della giurisprudenza sulla somministrazione di lavoro a termine. Contrasto ai casi di abuso. Le pronunce di merito e di legittimità.
Il tema della somministrazione di lavoro a termine è di grande attualità, grazie anche a recente giurisprudenza sull’argomento. La somministrazione di lavoro è l’istituto giuridico attraverso il quale un’azienda (cd. «agenzia di somministrazione» o «agenzia per il lavoro») fornisce lecitamente manodopera ad un’altra azienda (cd. «utilizzatore»), a condizione che la prima sia a ciò autorizzata ai sensi del D.Lgs. n. 276/2003 e, quindi, inserita nell’albo delle agenzie per il lavoro.
Sul piano formale, l’istituto della somministrazione di lavoro prevede la stipulazione di due contratti, tra i tre soggetti coinvolti, secondo uno schema trilaterale:
- contratto tra agenzia e dipendente che verrà somministrato (contratto di lavoro);
- contratto tra agenzia e utilizzatore (contratto commerciale di somministrazione).
La somministrazione di lavoro può essere a tempo indeterminato o a termine: se il lavoratore è assunto a tempo indeterminato dall’agenzia, potrà essere somministrato a tempo indeterminato (cd. «staff leasing») o determinato. Diversamente, qualora assunto a tempo determinato, il dipendente dell’agenzia potrà essere inviato all’utilizzatore solamente per missioni a termine.
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La somministrazione di lavoro a termine
La somministrazione a tempo determinato merita maggiore cautela in fase di applicazione pratica.
Il contratto di lavoro tra agenzia e lavoratore, infatti, dal 2018 risulta soggetto alle medesime limitazioni previste per il contratto di lavoro a termine «diretto» (al di fuori dello schema della somministrazione), ad esclusione dei termini di cd. «stop & go» tra un contratto e il rinnovo dello stesso, del limite quantitativo del 20% (applicandosene uno specifico) e del diritto di precedenza.
In altre parole, il contratto di lavoro a tempo determinato tra agenzia e somministrato – in aggiunta alle prescrizioni specifiche previste per la somministrazione – deve rispettare i limiti di durata massima, sia del singolo contratto, sia per sommatoria, oltre a quelli in materia di proroghe e rinnovi e, infine, l’eventuale obbligo di causale.
L’obiettivo dei predetti limiti è ridurre il rischio di abusi nell’utilizzo di tale forma di lavoro flessibile e temporaneo, in danno dei lavoratori somministrati.
È importante aggiungere a questo punto che, affinché il lavoratore possa eccepire la violazione di questi limiti da parte dell’agenzia (come per eventuali ulteriori irregolarità afferenti la somministrazione), è tenuto ad impugnare il contratto di lavoro a tempo determinato in somministrazione entro il termine di decadenza di cui all’art. 6 L. 604/1966, ovvero entro 60 giorni dalla cessazione dello stesso.
Dunque, in ipotesi di una sequenza di contratti di lavoro a termine, anche a scopo di somministrazione, il lavoratore deve validamente impugnare ciascun contratto ritenuto viziato e, come precisato nel tempo dalla giurisprudenza, l’impugnazione stragiudiziale dell’ultimo contratto della serie non si estende ai contratti precedenti.
Indici giurisprudenziali per individuare gli abusi
Ciò premesso, di recente le corti di merito e di cassazione, sulla scorta di quanto espresso dalla Corte di Giustizia Europea, hanno fatto applicazione di una tesi maggiormente garantista, rilevando l’illegittimità della somministrazione di lavoro a termine a prescindere dal rispetto dei limiti imposti dalla disciplina di legge o collettiva.
In particolare, facendo uso di indici già identificati dalla giurisprudenza eurounitaria, le corti hanno accertato casi di abuso del lavoro interinale nonostante l’intervenuta decadenza dall’impugnazione dei singoli contratti di lavoro a termine, o, ancora, in assenza di specifici limiti per la durata della somministrazione a termine (prima del 2018).
La gestione dei rapporti in somministrazione a termine, pertanto, richiede attualmente un’attenzione persino maggiore.
Vediamo brevemente a che approdi è giunta la giurisprudenza.
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Tribunale di Teramo, Sez. Lavoro, sentenza 8 febbraio 2023
Con l’ampia e articolata sentenza in parola, il Tribunale di Teramo, nel decidere sulla legittimità dei contratti di lavoro a termine in somministrazione di un lavoratore somministrato, ha ritenuto abusivo il ricorso al lavoro interinale a tempo determinato: ciò, non in virtù della violazione della normativa nazionale applicabile, ma di quella europea, sulla scorta di insegnamenti della Corte di Giustizia dell’UE (sentenze del 14 ottobre 2020 in causa C-681/18 e del 17 marzo 2022 in causa C-232/20), già fatti propri dalla recente giurisprudenza di Cassazione.
Il Tribunale ha infatti giudicato abusiva la somministrazione di lavoro posta alla sua attenzione nonostante la decadenza dall’impugnazione dei singoli contratti susseguitisi negli anni – dunque l’acclarata impossibilità di eccepire i vizi propri di ciascuno – ad eccezione dell’ultimo contratto.
In particolare, nella decisione in parola è stato affermato che il giudicato sull’intervenuta decadenza dall’impugnativa dei contratti a termine non preclude l’accertamento dell’abusiva reiterazione degli stessi, atteso che la vicenda contrattuale – pur oramai insuscettibile di poter costituire fonte di azione diretta nei confronti dell’utilizzatore – può rilevare come antecedente storico valutabile dal giudice al fine di verificare se la reiterazione delle missioni presso lo stesso utilizzatore abbia superato una durata che possa ragionevolmente ritenersi temporanea, così realizzando un’elusione degli obiettivi della Direttiva 2008/104.
La somministrazione fra princìpi e ruolo della giurisprudenza
Un fondamentale obiettivo della Direttiva citata consiste nel conciliare l’esigenza di flessibilità perseguita dalle imprese con la sicurezza dei lavoratori, attraverso la necessaria temporaneità del lavoro interinale.
Così, l’accennata possibilità per i giudici di merito di scrutinare la temporaneità della somministrazione di lavoro (al di là delle previsioni della disciplina italiana) deriva dunque dall’applicazione del principio d’interpretazione conforme, che esige che i giudici nazionali si adoperino, nei limiti delle loro competenze, per garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione.
Pertanto, come espresso dalla Corte di Giustizia dell’UE, seppure la normativa di uno Stato membro non abbia previsto una durata massima della somministrazione a termine, è compito dei giudici nazionali stabilirla caso per caso, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, che comprendono in particolare le specificità del settore.
Dunque, il controllo giudiziale sarà teso a verificare se sussista un rapporto di lavoro a tempo indeterminato al quale è stata artificiosamente attribuita la forma di una successione di contratti di lavoro tramite agenzia, in contrasto con la Direttiva europea.
Nello specifico, secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia, il giudice nazionale dovrà pertanto verificare:
- se le missioni successive del lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice conducessero a una durata dell’attività più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come «temporaneo»;
- se venga fornita una spiegazione oggettiva al fatto che l’impresa utilizzatrice era ricorsa ad una successione di contratti di lavoro a termine in somministrazione.
Le conclusioni del Tribunale di Teramo
Ebbene il Tribunale di Teramo, analizzate tutte le circostanze del caso di specie, ove l’utilizzatore aveva occupato per un totale di 34 mesi il lavoratore, inviato in missione da due distinte agenzie per il lavoro, ha infine concluso per l’abuso del ricorso alla somministrazione di lavoro a termine, in violazione della Direttiva 2008/104, poiché diretta a fronteggiare carenze di organico e non a soddisfare esigenze temporanee ed eccezionali.
Il Tribunale, in conseguenza di ciò, ha condannato l’impresa utilizzatrice al risarcimento del danno in favore del lavoratore, da liquidarsi ai sensi dell’art. 39 del D.Lgs n. 81/2015. Sul punto, si deve infine precisare che non è stato possibile per il Tribunale applicare la sanzione della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in capo all’utilizzatore, trattandosi quest’ultimo di una società partecipata pubblica.
Questa sentenza, di cui si consiglia la lettura, include ulteriori elementi di notevole interesse che tuttavia non riguardano strettamente l’oggetto di questo articolo.
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Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, ord. del 1° agosto 2023, n. 23445
Più di recente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza citata ha applicato le medesime argomentazioni di cui alla sentenza di Teramo – così confermando la giurisprudenza di legittimità che si è andata formando negli ultimi anni – cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’Appello di Genova, affinché questa possa verificare nel merito la temporaneità della somministrazione di lavoro, in applicazione dei principi di diritto di matrice eurounitaria riportati brevemente sopra.
La sentenza di appello, si tenga presente, aveva accertato che le missioni a termine si erano succedute presso la stessa utilizzatrice senza interruzioni per un tempo complessivo di oltre 4 anni, superiore senz’altro al tempo complessivo di 36 mesi che costituiva il limite per i soli contratti a termine «diretti» (non applicabile, al tempo, alla somministrazione di lavoro).
Somministrazione di lavoro a termine: conclusioni
La recente giurisprudenza brevemente disaminata in questo articolo è dunque tesa a tutelare la posizione dei lavoratori dalla reiterazione delle missioni a termine e comporta, per i datori di lavoro, un uso prudente dell’istituto della somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Tuttavia, a questa evidente conclusione si accompagna, purtroppo, la consapevolezza che la diffusione di questa giurisprudenza ci restituisce una minore certezza del diritto, a nostro avviso, dal momento che la corretta applicazione dei limiti apposti dal Legislatore alla somministrazione a tempo determinato, nonché dei termini di decadenza dalla relativa impugnazione, potrebbe non essere elemento sufficiente alla valutazione giudiziale della temporaneità, e quindi della legittimità, del lavoro interinale.
La temporaneità ai sensi della Direttiva 2008/104, infatti, seppure ancorata di volta in volta a circostanze oggettive, come insegna la Corte di Giustizia, non è valutabile ex ante in quanto non predeterminata in dettaglio dalla Direttiva.
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